Daniel (Italian Edition) by Avery Page

autore:Avery Page [Page, Avery]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2017-09-04T22:00:00+00:00

- Capitolo ventidue -

Bussai alla porta della famiglia Rodriguez, perché la mattina prima di uscire non avevo trovato il mazzo di chiavi che avevano fatto fare appositamente per me.

Bussai una seconda volta, visto che nessuno veniva ad aprirmi ma in pratica c’erano tutti e l’ora di cena era vicina. La Jeep di Ian era parcheggiata sul viale, l’auto di Vincent anche, Ruth doveva essere in cucina a preparare da mangiare.

Al terzo pugno sulla porta e al quarto squillo di campanello, Ian mi aprì la porta. Era pallido e sudato e aveva un taglio sanguinante sul labbro di sotto.

«Ian, ciao. Non ho le chiavi e…»

Mi sbatté la porta in faccia.

Che cazzo stava succedendo?

Il primo pensiero fu che avesse scoperto di me e Ruth; il secondo che Ruth mi avesse incastrato in qualche modo e avesse fatto sparire di proposito le mie chiavi. E i pensieri finirono qui, quando Gerald aprì la porta e uscì sul portico.

«Dovresti vergognarti, Daniel, invece vieni a casa nostra a mendicare la nostra ospitalità! Sei un grandissimo coglione e non so come mio fratello abbia fatto a essere così cieco per tutto questo tempo. Con noi hai finito!»

Prima che la porta si chiudesse di nuovo, sentii la voce di Vincent Rodriguez che mi chiamava.

«Daniel! Daniel Rivard!», tuonava incazzato.

Strinsi la cinghia dello zaino, nervoso. Non avevo paura, io non avevo mai paura di un cazzo. Ero solo preoccupato per quello che avevo visto, cioè Ian arrabbiato con me e deluso.

«Fatelo entrare! Subito!», ringhiò il padre.

Gerald lasciò la porta aperta e se ne andò sbraitando. Quando misi piede dentro la sala, respirai un’atmosfera pesante e tesa.

Ruth, Vincent e Gerald se ne stavano in piedi, vicini al tavolo del soggiorno; Ian mi dava il profilo, era appoggiato con i lombi a un mobile, aveva le braccia incrociate sul petto e la testa china. Era l’unico che non mi guardava, ed era una fortuna perché bastavano gli sguardi di quei tre a sprizzare odio e disgusto da tutte le parti.

Ruth Rodriguez, la troia di Danville: registrai un breve ghigno di vittoria sul suo cazzo di viso rifatto.

Richiusi la porta e avanzai in soggiorno a testa alta. Per quanto fossi una merda e mi fossi comportato come tale, là dentro c’era un’altra persona che aveva fatto più schifo di me.

«Daniel», mi chiamò il padre del mio migliore amico. «Quello che hai fatto alla nostra famiglia è…»

«Disgustoso, meschino, vomitevole». La sfilza di commenti mi fece male, perché venivano da Ian ed erano parole vere, corrette. Ero stato disgustoso, meschino e vomitevole. Stronzo e sleale.

«Hai approfittato della nostra ospitalità, hai… hai…». Il signor Rodriguez non riusciva a parlare e spostava di continuo la mascella da una parte all’altra. «Hai oltrepassato ogni limite del buon senso e della ragione, hai calpestato l’amicizia che avevi con nostro figlio e hai cercato di distruggere la nostra famiglia. Sai, in parte ho una spiegazione per il tuo comportamento. Lo hai fatto perché la tua famiglia non esiste. Tu non hai una famiglia e questa ti faceva gola, così

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